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Frigoriferi e santità

Esistono tante vie di santità, e tutte portano a Dio. Molte vie sono costellate di azioni eroiche e miracolose, ma la maggior parte di esse, soprattutto per quella “moltitudine immensa” che non finisce ricordata sul calendario, passa per la vita quotidiana e ordinaria, per gesti semplici quanto comuni (ma altrettanto efficaci) sulla via della santificazione.

Riprendendo la frase di Costanza Miriano, “ciascuno di noi è chiamato a combattere nel metro di trincea che gli è stato affidato”, vogliamo riflettere in questo post sul farsi santi nella vita quotidiana, uno dei tanti metri di trincea che ci sono stati affidati e che ci è stato chiesto di tenere, costi quel che costi.

Tutti possiamo riconoscerci nella descrizione che il Pellegrino Russo fa di sé stesso all’inizio del suo libro: “Per grazia di Dio sono uomo e cristiano, per azioni grande peccatore”. E tutti potremmo essere tentati di cercare la nostra santità compiendo grandi sacrifici, fondando ordini religiosi o compiendo altre azioni fuori dell’ordinario. Ma per molti di noi la strada non è quella. La nostra strada sulla via della santità passa per il quotidiano, per il camminare ogni giorno cercando di tenere la direzione che Dio ci indica e, soprattutto, nel “farsi santi con ciò che c’è”. Quest’ultima frase è il titolo di un libro di don Luigi Maria Epicoco, edito da Tau Editrice, da cui abbiamo preso spunto per questa riflessione.

Un bravo cuoco non è chi sa preparare banchetti prelibati e sofisticati. Un bravo cuoco è chi sa preparare un buon pasto con quello che c’è nel frigo.

Allo stesso modo, un santo non è chi riesce in opere impossibili, come levitare o avere la scienza infusa, ma chi fa la volontà del Padre nostro che è nei cieli. E questa volontà, ci insegnano schiere di santi, si fa con le carte che Dio ci ha dato, con i talenti che ci ha messo a disposizione, nel metro di trincea che ci ha affidato. E ricordiamocelo, quel metro, spesso fangoso o irto di sassi, è stato affidato proprio a noi perché lo custodissimo e lo difendessimo, e il fuggire verso altre posizioni, magari più ambite, più eroiche o più allettanti, non sarebbe altro che un tradimento dell’ordine ricevuto.

Quando si parla di santità si parla di “vocazione” alla santità. E quando noi cerchiamo di rispondere a questa vocazione, cerchiamo spesso di farlo alle nostre condizioni. Dimentichiamo, cioè, che le condizioni in cui dobbiamo divenire santi sono quelle in cui Dio ci ha fatto trovare.

Come sarebbe bello che il nostro metro di trincea fosse erboso, in una zona con clima mite, così sarebbe bello farsi santi avendo tanto tempo per pregare e meditare, provvidenza infinita per fare del bene ed essere seguiti e compresi da tanta gente convertita da noi. Ma questa non è la via della santità per la maggior parte delle persone. Per noi che siamo in questa folta schiera, la via della santità passa anche per un coniuge che ti lascia solo, per dei figli che ti fanno impazzire, per dei vicini che ti reputano un pazzo o, peggio, uno stupido.

In questa via di santità innestata nella vita reale, non nei sogni ad occhi aperti, noi dobbiamo aprire il frigorifero che Dio ci ha dato e cucinare con quello che c’è. E tante volte sembra impossibile poter realizzare qualcosa che sembri vagamente un pasto con ingredienti così pochi e così malmessi. E allora arriva la disperazione, allora si insinua la tentazione di farsi santi in altro modo o, addirittura, di lasciar perdere questa ricerca della santità.

Dio, che scrive dritto su righe storte come noi, ci è però vicino e ci dona di continuo tutto quello che serve. Perché l’analogia col frigo della nostra cucina è troppo semplice: il frigo di Dio è sempre pieno di tante cose. Non necessariamente quelle che vorremmo noi, no, quello quasi mai. Ma di sicuro c’è tutto quello che serve per preparare un pasto perfetto per il momento e il contesto in cui viviamo.

Ma noi, spesso, restiamo a guardare il frigo chiuso, non lo apriamo, o se lo apriamo cerchiamo quello che vorremmo noi, non quello che vuole Dio.

Il male non entra nella nostra vita facendoci sbagliare, ossia facendoci peccare, no, quella è solo la conseguenza di un errore più grande: smettere di guardare a Dio e volgere il nostro sguardo altrove.

La parola “conversione” significa appunto questo cambio di mentalità che riporta il nostro sguardo fisso su Dio. E allora potremo riprendere il nostro cammino nella giusta direzione.

Il primo grande passo che dobbiamo compiere per diventare santi è di non lasciarci impressionare dai grandi discorsi sulla santità quando sono scollegati dalla nostra vita reale. Non dobbiamo restare delusi se, quando apriamo il frigo, dentro non c’è quello che volevamo noi. I santi non sono mai stati quelli che avevano tutti gli ingredienti giusti ma quelli che hanno saputo essere creativi con quello che c’era al momento e sul posto.

Questo non significa che non ci si debba confrontare con grandi ideali e con imprese eroiche. Significa che bisogna prima di tutto riconciliarci con noi stessi e capire che quello che Dio ci ha dato è perfetto per preparare la cena che Lui vuole da noi. Secondo, è necessario guardare a Lui, costantemente, per capire cosa vuole che noi si faccia, nel nostro metro di trincea.

Questa è la conseguenza logica del mistero dell’incarnazione, che ci dice che il senso della nostra vita non è altrove, non è al di là, non è alla fine della nostra esperienza umana. Il senso della nostra vita è qui e adesso.

Santità significa quindi vivere ogni giorno, nella propria realtà, le tre virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. Su cui noi abbiamo fondato la nostra visione di comunità. Perchè crediamo che sia una via importante per la nostra santità.

Qui e adesso.

Luca Lezzerini

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Credits: Foto di Jorge Torres su Unsplash

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